Il fascino rurale degli alberghi diffusi in Italia

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In un momento complicato del travel, in cui le grandi città internazionali sono spesso affette da overturismo e inquinamento di varia natura, un paradigma diverso si fa spazio in Italia.

Come vi abbiamo recentemente raccontato, all’interno dei top travel trends 2020 rientra la crescente ricerca di una second-city travel. In altre parole, i viaggiatori sono sempre più consapevoli degli effetti onerosi dei troppi turisti nelle città più gettonate e tendono verso destinazioni meno battute, cercando di scongiurare un gravoso impatto ambientale.

Una delle alternative all’overturismo ha il cuore tutto italiano e rappresenta sicuramente una categoria dell’hospitality dalle grandi potenzialità. Skift ne fotografa nascita e sviluppo, come proviamo a fare noi in questo articolo.

 

Alberghi Diffusi: cosa sono?

 

Il termine “albergo diffuso”, aggettivo che indica la dislocazione fisica del corpo dell’hotel, identifica un modello di business atto a riqualificare edifici abbandonati all’interno di borghi, con attenzione all’ospitalità turistica. La peculiarità di questi hotel è la struttura: non si tratta di edifici sviluppati in senso verticale, ma piuttosto in orizzontale, distendendosi su altri immobili, intorno al corpo principale.

Grazie a simile distribuzione, gli ospiti vengono interamente calati nella routine di una comunità, la comunità di residenti del borgo, che convivono accanto a loro. Questa soluzione offre la preziosa possibilità di un soggiorno esperienziale autentico, un intero periodo vissuto da local, non un semplice momento legato ad un’attività specifica caratteristica della destinazione.

Nonostante l’unicità strutturale, questi alloggi rientrano negli standard degli hotel: almeno uno degli edifici dell’albergo diffuso deve ospitare la reception principale e uno spazio comune.  Un suggestivo esempio di albergo diffuso è costituito dal Sextantio Le Grotte Della Civita a Matera. Qui sono state allestite 18 camere all’interno dei Sassi originari, a stretto contatto con la comunità, tutte arredate in modo semplice e tipicamente locale.

Di seguito una foto delle camere Classic dell’albergo diffuso:

 

Le radici della nuova concezione di Esperienza

 

Oggi potete imbattervi in decine di alberghi diffusi in tutta Italia, ma il concetto non esisteva fino ai primi anni Ottanta. La mente dietro questo tipo di alloggio fu il consulente di marketing alberghiero Giancarlo Dall’Ara, desideroso di dare nuovo slancio ai borghi del Friuli-Venezia Giulia. La regione aveva infatti subito nel 1976 i devastanti effetti di un terremoto, che aveva lasciato dietro di sé borghi con belle abitazioni, ma disabitate. Fiaccati dalla calamità naturale, gran parte dei residenti si erano trasferiti altrove.

Dall’Ara concepì allora l’idea di una nuova frontiera del turismo, che coinvolgesse i villaggi rurali e li riportasse a nuova vita, richiamando inoltre gli abitanti al rientro a casa. Il perspicace consulente comprese che la costruzione di hotel tradizionali non si adattava a queste realtà medio-piccole perché avrebbe impattato troppo su paesaggio e cittadinanza.

Il progetto di Dall’Ara si nutrì di ispirazioni esotiche: un viaggio in Giappone gli fece conoscere l’ospitalità autentica dei ryokan – alloggi tradizionali a forte componente territoriale – che si adattava perfettamente alla realtà dei borghi nostrani.  Oltre tutto, già la storia dell’accoglienza italiana serbava in sé di semi degli alberghi diffusi, dato che tra il Rinascimento e il 1800 le famiglie nobili erano solite costruire dimore secondarie attorno alla magione principale, per farvi alloggiare i membri della famiglia allargata ed eventuali visitatori. Questa usanza ha confermato la possibilità che le strutture ricettive potessero essere distribuite in più edifici, a breve distanza uno dall’altro.

Da simili assunti, Dall’Ara ha sviluppato la sua idea concentrandosi su conservazione, sostenibilità e fattibilità economica ed ha stabilito degli standard di categoria. Innanzi tutto, ogni proprietà doveva disporre di almeno sette camere per gli ospiti ed erogare i servizi tradizionali dell’hotellerie. Inoltre, gli alberghi diffusi dovevano essere instaurati in mezzo alle case dei residenti, altrimenti sarebbero stati affini a semplici villaggi turistici. La quotidianità locale è invece l’anima di queste strutture.

Ciò che vende un albergo vissuto, essenzialmente, non è la camera in sé, ma la possibilità di vivere come gli abitanti del posto.

 

Il consenso delle comunità locali

 

Dalla stesura degli standard di Dall’Ara, depositati presso l’Associazione Nazionale Alberghi Diffusi, molte proprietà ricettive sono sorte dalla riqualificazione di antichi borghi. A prescindere dalla storia e dalle peculiarità di ognuna, due principi accomunano la maggior parte di queste: l’autenticità dell’esperienza e l’impegno a non costruire niente di nuovo.

Se il primo caposaldo risulta facilmente comprensibile, il secondo può necessitare di chiarimenti. Eppure l’inedificabilità è stata la chiave di volta che ha spesso convinto le autorità locali ad investire nella riqualificazione dei borghi. Soltanto assicurando l’integrità del paesaggio, infatti, le comunità autoctone hanno dato il proprio consenso all’instaurazione di strutture ricettive in realtà ristrette e tradizionali.

Una volta che i locali hanno compreso le opportunità economiche e sociali di un turismo “controllato”, hanno investito anche in facilities collegate (ristoranti, gallerie, enoteche). I residenti si sono impegnati inoltre ad organizzare attività tipiche del luogo e coloro che si erano trasferiti hanno spesso fatto ritorno, con l’obiettivo di ricomporre una comunità che si credeva perduta.

E voi conoscete gli alberghi diffusi in Italia? Cosa ne pensate?